L’Anarchico «conservatore» #1
La figura e il pensiero dell'anarchico americano Paul Goodman (1911-1972) nell'analisi di George Woodcock. Con un saggio a margine di Pietro Adamo (pagg.30/31) su Paul Goodman e la tradizione libertaria. Ripreso dalla storica pubblicazione anarchica italiana A-Rivista anarchica.
Parte I
Talvolta, soprattutto i marxisti, parlano dell'anarchismo come di una dottrina regressiva; nella misura in cui gli anarchici non hanno mai accettato il progresso come necessità auspicabile, la critica è giustificata; ammettere questo però non vuol dire riconoscere l'astoricità dell'anarchismo. Significa invece che l'anarchico si muove attraverso la storia in modo differente dal liberale o dal socialista, spesso inclini a credere che il futuro abbia in serbo grandi benefici. Significa che, mentre per esempio il marxista sembra destinato a portare a un livello sempre maggiore di efficienza la razionalizzazione del controllo umano sul mondo materiale raggiunto dal capitalismo e dagli stati nazionali, l'anarchico se ne sta in disparte, critico nei confronti degli stessi concetti di efficienza e razionalizzazione, quando questi discendano esclusivamente da una considerazione dei fattori economici. L'anarchismo riconosce la pericolosa importanza dell'elemento psicologico che opera nello sviluppo delle istituzioni umane, elemento i cui rischi vengono eccellentemente definiti da quell'acuto osservatore di società politiche che fu Lord Acton in questo celebre aforisma: «Il potere tende a corrompere; quello assoluto corrompe in modo assoluto».
Gli anarchici hanno sempre identificato la pecca fatale della democrazia sociale nell'idea che mediante il trasferimento del potere da un'élite all'altra si possano spazzar via le istituzioni coercitive; lo stato, disse una volta Engels, paradossalmente può avvizzire sotto la dittatura di una sola classe al suo interno, il proletariato. Gli anarchici hanno capito (e la storia dei paesi socialisti sembra aver dato loro ragione) che l'esercizio del potere non fa altro che accrescere la brama del potere stesso.
È proprio perché gli anarchici non sono mai riusciti ad accettare una politica del mondo in cui vivono dominata dal potere che tanto spesso, da Gerrard Winstanley a Paul Goodman, è parso che assumessero una posizione assai simile a quella leggendaria della bara di Maometto, sospesa fra due calamite nella sacra Mecca. Non è difficile vedere le due calamite anarchiche come un futuro idealizzato verso il quale essi tendono senza grandi speranze e un passato ideale al quale guardano con deluso rimpianto.
In effetti, la situazione è decisamente meno semplice di così. Gli anarchici più perspicaci in realtà ritengono che non si debba anelare un tempo futuro o un tempo passato, ma che in ogni società ci siano due tipi di presente, fra i quali bisogna operare una scelta. Uno è quello istituzionale, quello delle strutture autoritarie sotto cui viviamo, che atomizzano la società e alienano gli individui indebolendo il senso di responsabilità sociale innato in tutte le persone. Infatti, come ho detto altrove:
Qualunque anarchico, io credo, sarebbe disposto a sottoscrivere l'affermazione che l'uomo ha in sé per natura tutti gli attributi che lo rendono capace di vivere nella libertà e nell'armonia sociale. Forse non si crede che l'uomo sia buono per natura, ma esiste la fervida convinzione che per natura sia sociale... E non solo l'uomo è sociale per natura, sostiene l'anarchico, ma la tendenza a vivere in società è emersa in lui man mano che si evolveva dal mondo animale. La società è esistita prima dell'uomo e una società che vive e cresce liberamente sarebbe infatti una società naturale. Anarchism
E qui arriviamo al secondo presente anarchico.
Come infatti gli anarchici più attenti, da Kropotkin in poi, hanno sempre sostenuto, le istituzioni di potere non sono mai riuscite a sopprimere completamente la naturale inclinazione dell'uomo alla collaborazione; se l'avessero fatto, si sarebbe realizzato l'incubo che George Orwell ha descritto in 1984. È proprio grazie al fatto che gli uomini persistono nel loro benigno solco di libertà e di collaborazione naturale, accanto al solco maligno e coercitivo dello stato, che la società continua a esistere in quanto ambiente umano sopportabile. Per dirla con Colin Ward, in uno dei più importanti lavori teorici sull'argomento:
Una società anarchica, una società che si organizza senza autorità, è sempre esistita, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello stato e della sua burocrazia, del capitalismo e dei suoi disastri, dei privilegi e delle sue ingiustizie, del nazionalismo e delle sue suicide devozioni, delle differenze religiose e dei suoi separatismi superstiziosi. Anarchy in Action
Quello che l'anarchico cerca di fare, secondo questo punto di vista, non è distruggere l'attuale ordine politico per sostituirlo con un sistema organizzativo migliore; questo è stato lo sbaglio marxista che ha prodotto la tragica storia della Russia post-zarista. L'anarchismo propone invece di fare piazza pulita delle strutture esistenti di istituzioni coercitive così da liberare la società naturale, sopravvissuta per lo più sotterraneamente in periodi precedenti, più liberi e più creativi, e farla fluire nuovamente verso un futuro diverso. Gli anarchici non sono mai stati nichilisti, ansiosi di radere al suolo la società presente per rimpiazzarla con qualcosa di nuovo, e questo perché non sono mai stati neofili, che vedono virtù solo in ciò che è nuovo.
Essi hanno sempre dato molto valore alla resistenza dei naturali impulsi sociali e delle istituzioni volontarie da loro create; è alla liberazione della grande trama della collaborazione umana, che ancora oggi si estende a tutti i livelli della nostra vita, che hanno volto i propri sforzi, non a edificare o magari a immaginare il loro bravo mondo nuovo. Questo è il motivo per cui ci sono così pochi scritti utopici fra gli anarchici, i quali sono sempre stati convinti che ci si possa affidare agli istinti sociali dell'uomo, una volta affrancati, per modificare la società in modo pratico e desiderabile, senza piani preliminari, che tendono sempre a una costruzione.
Dichiarare che in noi esiste la capacità di vivere una vita libera (e le rudimentali istituzioni necessarie) e che bisogna liberarla e incoraggiarla è al tempo stesso rivoluzionario e conservatore: rivoluzionario nel senso che vi si contempla la distruzione o almeno l'erosione di un'intera struttura di potere; conservatore nel senso che gli esiti positivi della rivoluzione vengono visti in termini di mantenimento e rinnovamento di qualcosa che già esiste. Il fatto che le istituzioni autoritarie vengano liquidate dagli anarchici come aberrazioni passeggere che, come dice Godwin, «stravolgono le autentiche inclinazioni dell'animo», non diminuisce affatto l'elemento conservatore che si trova nell'animo scisso dell'anarchismo, visto che tutti i conservatori considerano aberrante e passeggero ciò che condannano. E in questo senso, l'anarchismo non è semplicemente conservatore.
Secondo l'idea più comune di progresso, l'anarchismo è infatti regressivo. I suoi sostenitori hanno sempre visto la liberazione in termini di semplificazione piuttosto che di complicazione. Se il prezzo della ricchezza è una progressiva perdita di libertà di sviluppo (per usare la terminologia di Paul Goodman) in quanto «persone» invece che «personale» essi hanno sempre, da Proudhon in poi, apprezzato i valori della povertà (ben diversa dal pauperismo) e quando possibile (come nelle comunità contadine spagnole durante la guerra civile) cercato di raggiungerli con una pratica austera. Hanno sempre visto di buon occhio la decentralizzazione (essendo i veri pionieri dell'idea che «piccolo è bello»); in senso organizzativo, decentralismo significa involuzione, per quanto i suoi difensori vi possano vedere un incentivo all'evoluzione creativa e spirituale dell'umanità.
Non è dunque del tutto casuale che un conservatore come Lord Acton, un cattolico che considerò la dichiarazione dell'infallibilità papale del 1869 un'insopportabile imposizione alla sua libertà spirituale, possa aver dato nelle sue note sul potere l'espressione più eloquente di una delle convinzioni anarchiche. Né è per puro caso che un anarchico di tempi più recenti, Paul Goodman, uno dei più onesti e scrupolosi intellettuali del suo tempo, possa dire a piena ragione: «Sono anarchico e rivoltoso, sono conservatore e tradizionale» (Creator Spirit, Come) e, non molto prima della morte, in un libro che sottotitolò Appunti di un conservatore del Neolitico:
Non sono un «romantico»; ciò che sconcerta i miei critici liberali e radicali è che sono un conservatore, un conservazionista. Io faccio uso del passato: il punto è come. New Reformation
Ciò che mi propongo nel corso di questo scritto è di esaminare, in modo appositamente disordinato, come effettivamente Goodman usi il passato e come così facendo egli perpetui e prolunghi una delle attuali correnti del pensiero anarchico, una corrente che, per usare una terminologia che sembra in disaccordo con la maggior parte delle concezioni diffuse dell'anarchismo, è sia tradizionale che aristocratica. Infatti, un approccio che faccia tesoro del passato (come quello di Kropotkin, Herbert Read e Goodman) per quanto riguarda le virtù sociali che sono state distrutte o si trovano sotto la minaccia dell'autorità, naturalmente non cerca di ridurre la gente sotto il comune denominatore del proletariato (l'alienato della rivoluzione industriale). Si tratta piuttosto di elevarsi a quel livello culturale di cui una volta godevano solo i ricchi e i potenti, dato che, come dissi una volta:
In realtà l'ideale dell'anarchismo, lungi dall'essere la democrazia portata alla sua conclusione logica, è molto più prossimo a un'aristocrazia universalizzata e depurata. La spirale della storia diventa così un cerchio perfetto e laddove l'aristocrazia, al suo punto più alto nella visione rabelaisiana dell'Abbazia di Thelème, invocava la libertà per i nobili, l'anarchismo ha sempre proclamato la nobiltà degli uomini liberi. Anarchism
Si tratta di un'aristocrazia purgata dei privilegi, la cui richiesta al mondo materiale non è altro che «ciò che basta a permettere agli uomini di essere liberi» (Anarchism), ovvero quella che Goodman chiama ripetutamente una «decorosa povertà»; e, come dice Goodman poco dopo, «aristocratica uguaglianza».
All'interno di questo schema, Goodman si vedeva (secondo le parole dell'editore dei suoi saggi, Taylor Stoehr) come «il povero studioso, vestito di stracci ma sapiente, in grado di filosofare con gli strilloni come con i chierici», l'equivalente del filosofo greco che, come più di una volta ribadisce Goodman nei suoi libri sull'educazione, trasformava ragazzi poco promettenti in autentici uomini di cultura passeggiando con loro nelle strade e mescolando ai discorsi l'osservazione della vita concreta quotidiana in tutte le sue forme.
Riguardo la tradizione alla quale riteneva di appartenere e al passato di cui faceva uso, Goodman li definì in un passo che vale la pena di citare per intero perché determina e differenzia alla perfezione sia le fonti della sua conoscenza che la cornice all'interno della quale emersero le sue concezioni.
La cultura che voglio trasmettere (io stesso vi sono intrappolato e fuori di essa non posso né pensare né lottare) è la nostra tradizione occidentale: i valori della Grecia, della Bibbia, della cristianità, della cavalleria e delle libere città del XII secolo, il Rinascimento, l'età eroica della scienza, l'Illuminismo, la Rivoluzione francese, l'utilitarismo del primo Ottocento, il naturalismo del tardo Ottocento.
Per far capire che cosa intendo, citerò un'affermazione tipica di ognuno di essi. I greci talvolta aspirano a un prevalere del senso civico in cui il semplice successo individuale sarebbe vergognoso. La Bibbia insegna che c'è un creato e una storia in cui noi ci muoviamo in quanto creature. I cristiani possiedono uno spirito di fanatico impegno perché ci troviamo sempre alla fine dei tempi. La cavalleria è l'onore e la lealtà, in amore come in guerra. Le libere città hanno inventato le corporazioni sociali e i diritti giuridici. Il Rinascimento afferma imperiosamente il diritto all'immortalità di individui particolarmente dotati. Gli scienziati conducono un dialogo disinteressato con la natura, senza curarsi di dogmi e delle conseguenze. L'Illuminismo ha stabilito che esiste una sensibilità comune dell'umanità. L'utilitarismo punta al soddisfacimento tangibile, non all'opera laboriosa, al denaro o al potere. Il naturalismo ci sospinge verso un'etica onesta, insita nella condizione animale e in quel1a sociale.
Inutile dire che queste affermazioni tanto familiari spesso sono in contraddizione pratica e teorica fra loro; ma anche questo conflitto fa parte della tradizione occidentale. Sicuramente si tratta solo di ideali, che non sono mai esistiti né in cielo né in terra, ma che tuttavia sono l'invenzione dello spirito santo e di quello umano che costituiscono l'universo, anch'esso, peraltro, un ideale.
Naturalmente, come insegnante, raramente faccio cenno a queste cose; le do per scontate e assimilate da tutti. Provo però amare delusioni quando scopro che tanto i miei studenti, quanto i colleghi giovani danno per scontate cose del tutto diverse. Compulsory Miseducation
Il brano, tratto da un libro pubblicato per la prima volta nel 1962 e rivisto nel 1964, non solo ci aiuta a definire la condizione di Goodman in quanto studioso umanista in relazione alla situazione accademica dei primi anni '60, ma ci fornisce anche un punto di partenza per determinare la sua posizione all'interno della tradizione anarchica.
Più che un accademico, Goodman si considerava un umanista e un letterato piuttosto che un docente, ruolo nel quale, nonostante la bontà del suo insegnamento, manifestò un comportamento decisamente troppo eccentrico perché la comunità universitaria potesse digerirlo facilmente. Ciò nondimeno gli atenei furono uno degli aspetti culturali che apprezzava, anche se riteneva di esserne al di fuori.
Quando considero la lunga filiazione: Parigi ha dato uomini a Oxford, Oxford ha dato uomini a Cambridge, Cambridge a Harvard, Harvard a Yale, Yale a Chicago e così via, mi rendo conto di non essere né un uomo di scuola né un universitario, per quanto le difenda entrambe ritualmente. Io sono un umanista, questa specie di libero professionista rinascimentale. Al momento credo di essere in cerca di una filiazione differente: da Charcot a Freud, da Freud a Reich e via dicendo; sono però significativamente incapace di appartenervi. In realtà, sono nato senza padre. Nature Heals
È qui, in questo contesto delle università e dell'educazione in generale, che vediamo Goodman muovere alcuni dei suoi grandi passi verso il passato. Sollecita incessantemente gli atenei, sostenendo che loro dovere è di conservare la tradizione occidentale da cui ritiene di essere stato formato. Si dedica a ciò che definisce «un argomento alquanto demodé della teoria educazionale: come trasmettere la cultura con la C maiuscola, la grandezza dell'uomo...». (New Reformation). Rimbecca le università perché accettano sussidi dell'esercito, cosa che denuncia come «la fine della libera ricerca e dell'educazione liberale, perché la musica la fa chi suona il piffero». Invoca una rivitalizzazione dell'umanesimo nelle accademie, poiché è solo usando il linguaggio in modo chiaro ed esteso, non già come un «codice per comunicare semplicemente informazioni», che riusciremo a comprendere e
controllare l'esplosiva tecnologia scientifica e il collettivismo, che sono le condizioni di un prevedibile futuro... Ora più che mai il metodo della letteratura è indispensabile: trovare ed esprimere l'umanesimo nella scienza nuova, la moralità nella tecnologia e la comunità e l'individualismo nel collettivismo. New Reformation
Idee simili assomigliano per molti versi a quelle dei conservatori educazionali, con la differenza che Goodman le accorpa in una teoria dell'educazione genericamente libertaria. L'educazione nell'umanesimo è essenziale alla buona salute della società, ma ciò non significa che tutti siano mentalmente idonei ad assorbire in forma accademica quanto la loro cultura ha da offrire.