Condividiamo con enorme piacere e orgoglio un articolo in forma di lettera che Guglielmo Piombini, uno dei maggiori studiosi anarco-capitalisti italiani, mandò nel 1995 alla rivista anarchica “A/Rivista anarchica” (anno 25, n. 218, maggio 1995). Siamo onorati che Guglielmo Piombini abbia pensato a “Labirinto” per pubblicare nuovamente questo testo fondamentale per la comprensione dell’anarco-capitalismo in Italia. A questo proposito abbiamo scelto di dedicargli l’intera settimana dividendo il testo in tre uscite, oggi, mercoledì e venerdì. L’articolo è introdotto da un breve commento di Guglielmo a oltre 25 anni di distanza dalla prima pubblicazione.
Nel 1995 avevo scoperto da poco il pensiero libertario americano, e ne ero rimasto affascinanto. In Italia, purtroppo, erano pochissimo coloro che lo conoscevano. Decisi quindi di sollecitare gli ambienti anarchici tradizionali, e inviai un articolo a “A/Rivista Anarchica”, la rivista mensile degli anarchici socialisti, per presentargli il pensiero anarco-capitalista. Non nutrivo molte speranze sulla sua pubblicazione, dato che le posizione collettiviste della rivista erano molto distanti da quelle individualiste dell’anarco-capitalismo. Con mia sorpresa, invece, alla mia lettera venne dato un grande risalto. La sua pubblicazione riempì tre pagine del numero uscito nel maggio 2018, e fu commentato da Pietro Adamo, uno studioso milanese di idee anarchiche che ha sempre mostrato molto interesse per le posizioni del libertarismo americano. Le sue osservazioni al mio articolo, infatti, furono concilianti e non troppo polemiche. Il dibattito proseguì nei numeri successivi della rivista, e vide anche l’intervento in mio sostegno di Carlo Lottieri, che avevo conosciuto solo qualche anno prima. Rileggendolo oggi, forse cambierei qualcosa del mio articolo: ad esempio, il riferimento all’”Homo oeconomicus” mi sembra un po’ improprio, ma a quel tempo avevo una conoscenza ancora limitata della scuola austriaca di economia. Nel complesso, tuttavia, il saggio mi pare ancora abbastanza efficace come introduzione al pensiero anarco-capitalista. (Guglielmo Piombini)
*
Cari amici della “Rivista Anarchica”,
vorrei complimentarmi per la vostra rivista, che spesso acquisto e leggo con estremo interesse. Personalmente mi ha sempre affascinato la teoria dell’anarchismo, soprattutto nella sua versione individualista, sulla quale sto svolgendo alcune ricerche.
Mi rendo conto che questa forma di anarchismo è sempre stata minoritaria (almeno in Europa) rispetto all’anarco-socialismo, tuttavia, nelle considerazioni che seguono, vorrei mettere in luce alcuni caratteri di maggior coerenza dottrinale, e anche di maggior realismo, propri della prima rispetto alla seconda. Spero così di contribuire, con la massima pacatezza, al dibattito teorico, cercando di rendere anche a voi anarchici collettivisti un po’ meno “indigesto” l’anarchismo individualista, soprattutto nelle sue versioni moderne, denominate più propriamente anarco-liberismo o anarco-capitalismo.
Ho notato infatti, con rammarico, che la vostra attenzione per l’anarco-capitalismo e per i libertarians americani è molto scarsa, e nei rari casi in cui queste posizioni vengono prese in considerazione, i giudizi sono sempre estremamente negativi. Eppure le radici di questa corrente culturale si ricollegano direttamente, oltre che ai classici autori liberisti, alla tradizione anarco-individualista americana ottocentesca di Josiah Warren, Lysander Spooner, Benjamin Tucker; inoltre, nelle opere dei libertarians statunitensi, riecheggia spesso quello stesso afflato libertario presente in certe straordinarie pagine antistataliste di Proudhon, di Godwin o di Bakunin. Nel breve saggio che segue vorrei quindi brevemente riassumere i punti fondamentali della dottrina anarco-capitalista, per poi svolgere un confronto su quei punti di dissidio con l’anarchismo comunistico classico.
L’anarco-capitalismo, che negli Stati Uniti ha raggiunto livelli notevoli di elaborazione teorica grazie soprattutto a studiosi come Murray Rothbard e David Friedman, si pone, ad un tempo, come negatore assoluto dello Stato e come strenuo sostenitore della proprietà privata e del libero mercato. In ciò possiamo trovare una netta differenza rispetto ad altre forme di anarchismo individualistico, quali quelle illegalistiche stirneriane, nietzschiane o stile banda Bonnot, che non riconoscono la libertà e la proprietà privata altrui, e che giustificano quindi in qualche modo l’attentato o l’esproprio violento. Al contrario, per gli anarchici-liberisti, gli uomini nascono con dei diritti assoluti sulla propria persona, sui frutti del proprio lavoro e su tutto ciò che si ottiene, senza violenza e senza frode, per contratto e dono. Nessun altro uomo o gruppo di uomini, quand’anche rappresentassero la maggioranza, può permettersi di violare questi diritti naturali. Partendo da queste premesse, gli anarchici-capitalisti individuano nello Stato il principale violatore di questi diritti, e affermano che esso nella sostanza in nulla si differenzia da una organizzazione criminale, essendo tenuto in piedi da un sistema di tasse che altro non sono se non una forma legalizzata di estorsione o di furto.
Per gli anarco-capitalisti lo Stato rappresenta la più vasta e importante associazione per delinquere di tutti i tempi, molto più efficiente e pericolosa di qualsiasi altra mafia della Storia; non vi è infatti ombra di dubbio che il male e i danni arrecati ai cittadini dalle bande criminali private è qualcosa di irrilevante, se lo si confronta con gli orrori provocati dalle classi politiche e governanti: genocidi, bagni di sangue, guerre, crisi economiche, confische, schiavitù, carestie, distruzioni massicce. Lo Stato, spiega Rothbard, è solo un’organizzazione di individui che hanno concordato tra loro di farsi chiamare in questo modo, allo scopo di esercitare sugli altri il monopolio legale della violenza e della estorsione dei fondi. Costoro sono gli unici individui della nostra società che si procurano le entrate non perchè qualcuno li paghi volontariamente per i loro servigi, ma con la costrizione, ovverosia con la minaccia della prigione o della fucilazione.
Se un privato viene da me e mi dice: “Ti fornisco certi servizi, che tu li voglia o meno, e quindi mi devi pagare”, parliamo di un tentativo di estorsione - osserva David Friedman - ma se un governo si comporta allo stesso modo, allora parliamo di tassazione. Da un punto di vista etico, non vedo alcuna differenza tra i due casi. O li accettiamo entrambi o li respingiamo. Per questo, nessun governo oggi esistente, compresi quelli democratici, può essere considerato legittimo, dato che un’azione criminale non cessa di essere tale solo perché una maggioranza l’approva o la condanna.
Tutte le ideologie sorte fino ad ora hanno tuttavia cercato di dimostrare il contrario. Il compito di spiegare che i delitti commessi dagli individui sono esecrabili, mentre quelli identici commessi su larga scala dallo Stato sono giusti, è stato svolto, dalle epoche più antiche fino ad oggi, dagli intellettuali pagati dallo Stato che, nel corso dei secoli, nella loro veste via via di sacerdoti, ideologi, scienziati, ecc. si sono dedicati con zelo a convincere le popolazioni che le depredazioni e le violenze dello Stato sono necessarie e benefiche per la società e che quindi vanno perdonate. I pretesti e le ideologie possono cambiare, ma il contenuto del messaggio è sempre stato questo. Tutte le ideologie comparse finora, da quelle teocratiche a quelle imperialiste, nazionaliste, comuniste, socialiste o democratiche, sono state varianti di grado, ma non di principio, di questo comune modello di tirannia statalista, che sacrifica l’individuo ad una qualche entità superiore, in base al principio che il Bene è ciò che è bene per la società (o la razza, o la nazione, o la classe, o la maggioranza), e gli editti governativi ne sono la manifestazione indubitabile.
Invece che da una struttura burocratica monopolistica e coercitiva, tutte le funzioni oggi esercitate dallo Stato, comprese l’istruzione, la cura dei malati, la costruzione di strade, la battitura delle monete, l’assistenza ai poveri, e perfino le funzioni poliziesche e giudiziarie, possono essere svolte in maniera infinitamente più morale ed efficiente da agenzie private in concorrenza tra loro, mediante contratti volontari stipulati con gli utenti e i consumatori, fatti osservare da tribunali privati di arbitrato in un libero mercato.
In una società siffatta, dunque, non esiste una sfera pubblica, non esiste la politica, non è ammessa la coercizione. Tutti i rapporti tra gli individui sono fondati esclusivamente su base contrattuale e volontaria.
Nella società ideale non vi sarebbero più regolamenti, servizio di leva obbligatorio, sicurezza sociale, polizia statale, ragion di stato – spiega David Friedman – tutte le funzioni attualmente devolute all’apparato coercitivo dello Stato sarebbero esercitate da un insieme di comunità e imprese private che offrirebbero i loro servizi su una base contrattuale (sempre revocabile) nel quadro di un sistema di concorrenza generalizzata tale da garantire a ognuno la libertà di scelta ... Chi volesse aiutare il suo prossimo lo farebbe, ma ricorrendo a organizzazioni contrattuali e volontarie, e non a superstrutture arbitrarie ed autoritarie ... Chi volesse vivere secondo una concezione “virtuosa” della società sarebbe libero di farlo associandosi con altre persone d’accordo con lui, ma senza per questo imporre la sua concezione a chi avesse un’idea diversa della morale umana ... Nessuno, infine, avrebbe il diritto di costringere chicchessia a fare o pensare qualche cosa, anche in nome di principi “democratici” che spesso non sono altro che la negazione della libertà delle minoranze ...